giovedì 13 dicembre 2007

Tempi cariati

Sono stati tempi stracarichi di tensioni nervose, di stress lavorativi, di timori assillanti.

Tempi in cui l’unica distrazione per fuggire dal peso intollerabile dei mille grattacapi era andare dal dentista.

L’unica via di fuga per tirami fuori dal gomitolo straziante e ingarbugliato di infinite persecutorie frustrazioni era il trapano del mio odontoiatra. E’ un aggancio poderoso a cui aggrapparsi per tirarsi fuori dalla disperazione di una mente intrappolata nelle sabbie mobili dell’inquietudine perpetua.

Quel suo sibilo che fa venire la pelle d’oca, nel momento in cui diventa tremore che scava, che trivella, che si trasmette alla tua mandibola e poi vibra nelle ossa della calotta cranica, sa essere una distrazione irresistibile che ti porta lontano da tutte le preoccupazioni.

La testina rotante che trapana nel tuo dente si contrappone con prepotenza a tutte le altre tensioni.

La paura del dolore, il dubbio che l’anestetico non sia entrato bene in circolo diventa un monopolio nell’economia del subconscio. Dilaga, impera, c’è solo lui.

Il timore che la polpa nervosa sotto lo smalto eroso sia ancora viva, sensibile e prossima a scaricarti addosso una fitta di dolore puro è un oggetto luminoso accecante al centro di una stanza buia.

Ora è l’unica luce nella tua mente, il solo faro: intorno finalmente il vuoto che non riuscivi a trovare nelle pene spinose dei giorni passati.

Sudori freddi congelano i polsi e moderano quella febbre che aveva cotto le tue cervella.
Adesso finalmente sei libero.
Hai otturato le tue frustrazioni, murate sotto il mastice che piano piano indurisce.

Tutto è finito e torni a casa.

Poi un terribile giorno ti guardi allo specchio e ti scopri costretto a confessarti la verità più difficile: hai finito la carie.

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